la pinacoteca Patiniana

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Teofilo Patini, cenni biografici

«Sarò pittore, pittore, pittore» scrisse, e lo sottolineò tre volte,  il quindicenne Patini per ribadire a suo padre una determinazione per lui ormai irreversibile, ma alquanto sconcertante per il già maturo don Giuseppe, stimato notaio e proprietario di terre e di greggi, considerato al punto da non subire rappresaglie neppure durante le violente reazioni filoborboniche del 1860, il quale, seguendo una ormai remota tradizione domestica, avrebbe voluto fare di quel figlio un forbito professionista.

Il giovane, invece, perseverò nella sua scelta. Difatti, come annotò Vincenzo Balzano in un altrettanto sintetico, ma più articolato profilo di quello inserito nella Storia di un comune del Reame pubblicato nel 1942, il pittore, che a Castel di Sangro era «nato il 5 maggio 1840, a sedici anni lasciò la casa paterna e si recò a Napoli per […] obbedire al desiderio di suo padre». Sennonché, «in luogo dell’Università, frequentò per tre anni l’Accademia, finché nel 1859, guadagnato un premio per lo studio del modello nudo, fu ammesso alla scuola di pittura di Giuseppe Mancinelli, l’artista illustre, classicheggiante» e «non privo di una certa sua austera personalità […]. Per quattro anni il Patini beneficò di una modesta pensione di lire cinquecento annue, assegnatagli dalla Provincia di Aquila.

Tornato in Abruzzo, prese parte alla repressione del brigantaggio che infestava le nostre contrade; e quindi, attratto dall’idealità della patria, di cui bramava l’unità, seguì le schiere garibaldine, segnalandosi con atti di valore. Compiuto tale dovere, poté dedicarsi alla più serena disciplina d’arte, in cui si rivelò pensatore umanitario nella concezione dei suoi quadri più tragici: Bestie da soma, L’erede, Vanga e latte […]. Molto si è scritto e detto intorno all’arte patiniana o al suo significato. Ci limiteremo a riportare il giudizio che del Patini ha dettato recentemente Adolfo Venturi, il più illustre e celebrato critico d’arte del nostro tempo. “Ben degno d’onore è il nome dell’abruzzese Teofilo Patini, che portò nella sua arte lo spirito osservatore di Filippo Palizzi, suo Maestro, e lo estese alle sue decorazioni di soggetto storico, oltre che a quelle di genere. In queste, specialmente nelle rappresentazioni della vita degli umili della sua terra, trovò accenti di commozione sincera; in quelle di fondamento storico, come negli studi per Le glorie della scienza, da eseguirsi per l’Aula Magna dell’Università di Napoli, seppe elevarsi grandiosamente”.

La vita del pittore non fu lieta; la confortava il grande amore dei suoi discepoli, dei suoi amici e compagni che nelle elezioni amministrative del luglio 1905 lo elessero Consigliere Provinciale nel Mandamento natio. Le dimostrazioni di stima e di affetto, affermatesi sul suo nome glorioso, riuscirono assai grate all’artista e maggiormente lo consolarono quando il 3 Novembre del 1906 il Consiglio Comunale dell’Aquila, dopo che i Consiglieri Camerini, Tedeschi e d’Angelo ebbero ricordato le sue alte doti di spirito e d’arte, lo proclamò, con votazione solenne tra gli applausi frenetici del pubblico, cittadino onorario dell’Aquila.

Fu anche professore onorario nell’Accademia di Belle Arti di Perugia, Ispettore di antichità e belle arti, Presidente di commissioni per mostre artistiche e per concorsi, Direttore della scuola d’arti e mestieri dell’Aquila.

Partito da questa città, dopo qualche giorno che passò in Castel di Sangro tra l’affetto della madre, Donna Giuseppa Liberatore, dei parenti, degli amici e degli ammiratori, egli ritornava a Napoli per eseguire la grande opera decorativa nell’Aula Magna di quella Università, incarico conferitogli dal Ministro dell’Istruzione dopo un concorso, a cui parteciparono altri artisti eminenti. Ma le malferme condizioni di salute lo spensero improvvisamente la sera del 16 novembre 1906 nella sua casa in Via della Neve n.6, fulminato da un attacco di angina pectoris».